Comparto essenziale: così l’audioprotesi è stata considerata nella pandemia

Certamente per molti di noi la pandemia è stata una delle prove più dure della vita. L’abbiamo comunque affrontata. Abbiamo compiuto degli errori che ora, con il senno di poi, appaiono quasi delle ingenuità: la mancanza di mascherine e di regole chiare, ciò che è accaduto negli ospedali e nelle case di riposo, le mancate zone rosse. Ora certamente siamo più preparati, sia nel non sottovalutare, ma neppure nel sopravvalutare il nemico. C’è però un dato cha da italiani abbiamo il dovere di sottolineare: il modo in cui ha reagito la nostra nazione è stato notevole.
Ed è per questo forse che oggi, con i contagi di ritorno, siamo il Paese che se la sta cavando meglio. Tutti abbiamo fatto la nostra parte. Medici e infermieri in prima linea, ma anche le forze dell’ordine, i cassieri dei supermercati, gli addetti alle pulizie. Tanti sono stati coloro che hanno continuato a lavorare mentre molti di noi erano costretti a
restare in casa. E tra i tanti che non hanno interrotto il proprio servizio o la propria attività ritenuta essenziale, ci sono stati anche gli audioprotesisti.

I Centri Acustici sono stati considerati dal Governo un comparto essenziale per la popolazione e che quindi non poteva essere condizionato dalle chiusure imposte dal lockdown.

A fotografare la situazione è Sandro Lombardi, presidente Anifa, Associazione nazionale italiana degli importatori e produttori di apparecchi acustici. «È ormai un dato di fatto che il periodo che stiamo attraversando risulta essere uno dei più difficili sotto ogni punto di vista e che non ha lasciato immune nemmeno il nostro settore. Negli ultimi decenni questo comparto si è affermato come uno dei più solidi e dinamici – sottolinea il presidente Lombardi – ma adesso ci siamo trovati di fronte a una battuta d’arresto senza precedenti anche se abbiamo potuto continuare ad
operare durante il lockdown in quanto riconosciuti come operatori sanitari necessari al mantenimento di uno standard elevato dello stato di salute dei cittadini. Nonostante il mercato abbia fatto registrare una buona ripresa già dallo scorso giugno, in buona sostanza abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo una situazione complessa sotto molti aspetti che richiede di rimettere in discussione i vecchi schemi e le abitudini consolidate per aprirsi alle nuove esigenze sia aziendali che di utenti/pazienti sempre più esigenti».

Sono numerose infatti le situazioni emerse, a cominciare dagli anziani, che legati al mondo esterno unicamente da strumenti per certi versi nuovi per loro, hanno avuto non poche difficoltà di comunicazione. Un problema che si accentua ulteriormente per gli ipoacusici. Di qui il ruolo riscoperto della tecnologia diventata amica, soluzione positiva e necessaria, aiuto e supporto, come spiega Fernanda Gellona, direttore generale di Confindustria, Dispositivi medici.
«La pandemia ha insegnato che le tecnologie mediche sono un elemento fondamentale per la sanità e l’adeguamento tecnologico è un fattore imprescindibile. Sembra finalmente finita l’epoca dei tagli al SSN, e anzi si sta parlando di nuovi e rilevanti investimenti».
Si rende necessaria, quindi, una maggiore attenzione ai bisogni dei cittadini. «Il nostro auspicio – puntualizza infatti la Gellona – è che una parte di questi fondi venga utilizzata per migliorare ulteriormente i Livelli Essenziali di Assistenza, aggiornandoli sia sotto il profilo delle innovazioni tecnologiche, che dell’organizzazione delle prestazioni. Le nostre imprese hanno l’obiettivo di offrire alle persone soluzioni sempre più efficaci ed è ormai nota a tutti l’importanza del recupero delle funzioni uditive negli anziani; ma i dati dimostrano un aumento delle ipoacusie anche in soggetti più giovani. Questo fenomeno deve quindi essere posto all’attenzione delle istituzioni perché ne riconoscano la rilevanza e diano maggiore attenzione ai bisogni di queste persone. Per parte nostra, le imprese sono vicine ai pazienti e agli operatori sanitari per mettere a punto innovazioni che migliorino sempre di più i prodotti, nel rispetto dei ruoli e della sostenibilità».

Il Covid ha quindi riacceso i riflettori sul Servizio sanitario nazionale ed è più che auspicabile che venga rafforzato dopo tale prova. Lo sottolinea Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe per il quale: «In Italia il lockdown tempestivo, rigoroso e prolungato ha ridotto la mortalità, gli accessi in ospedale e il numero dei nuovi casi, in misura maggiore rispetto ad altri paesi europei. Tuttavia, dello tsunami che si è abbattuto sul nostro Paese non abbiamo mai conosciuto la fase iniziale: durante la drammatica esplosione dell’epidemia di febbraio-aprile abbiamo “fotografato” solo la punta dell’iceberg, ovvero i casi più gravi, ignorando che il virus circolava già da tempo. Con le
riaperture del 3 giugno siamo di fatto “ripartiti dal via” e la curva dei contagi è di nuovo in rapida ascesa: siamo passati dai 1.400 nuovi casi/settimana di luglio ai quasi 10.000 di settembre e l’incremento dei contagi si riflette progressivamente sui pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva. Con la pandemia sono venuti al pettine alcuni nodi importanti: l’imponente definanziamento della sanità pubblica dell’ultimo decennio, il cortocircuito
di competenze tra Stato e Regioni e l’impreparazione organizzativa e professionale del Paese nella gestione di una pandemia».

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