Antonella Santuccione Chadha la nuova frontiera della neuroscienza parla italiano
Uomini e donne non sono uguali, è ovvio. Eppure la risposta sembra non essere così scontata e soprattutto non lo è per la medicina. Un paradosso, ma è proprio così. Lo sa bene la neuroscenziata di fama mondiale, Antonella Santuccione Chadha, che per combattere questo pregiudizio qualche anno fa ha fondato Women’s Brain Project, un’organizzazione che studia le malattie della mente e del cervello e l’accesso alla medicina di precisione, con particolare riguardo a come e quanto i fattori di sesso e genere influenzino questi deficit. Oggi, oltre ad essere co-fondatrice e CEO del WBP, è anche Head of Stakeholder Engagement presso Biogen e il suo impegno procede con ostinazione.
«Molte malattie del cervello colpiscono le donne più degli uomini – spiega -. Un dato importante che però sembra interessare poco alla ricerca». Questa considerazione ci ha incuriosito perché ciò che la Santuccione sta indagando riguardo le malattie neurologiche potrebbe interessare altri ambiti. Ad esempio i disturbi uditivi: sembra, infatti, che colpiscano più frequentemente e più precocemente il sesso maschile.
Dottoressa Santuccione Chadha, quindi uomini e donne non sono la stessa cosa?
Nella medicina assolutamente no. La pandemia che stiamo vivendo ci ha insegnato che esistono differenze di sesso e genere nel decorso delle
patologie; gli uomini sono colpiti maggiormente e si ammalano più gravemente di Covid-19 rispetto alle donne.
I suoi studi si sono concentrati sulle malattie psichiatriche e neurologiche. Cosa ha scoperto?
Che le donne soffrono più frequentemente degli uomini di depressione, ansia, sclerosi multipla, compresi alcuni tipi di tumore al cervello e la malattia di Alzheimer. La scienza sta iniziando solo ora a prendere in considerazione le differenze di sesso, inteso come DNA e di genere, cioè come la società ci fa assumere ruoli femminili piuttosto che maschili al suo interno. Questo è di fondamentale importanza per il raggiungimento della medicina di precisione.
Come è giunta a queste conclusioni?
Sin dai miei studi di neuroscienza, che durante la mia esperienza come clinico nel reparto di psichiatria dell’Ospedale Universitario di Zurigo, mi sono appassionata e interessata alla differenze che esistono tra uomini e donne nelle malattie del cervello e della mente. Questo mio interesse si è poi rafforzato quando successivamente ho lavorato come revisore clinico per alcuni anni all’interno di Swissmedic, l’autorità svizzera di omologazione e controllo dei medicamenti e dei dispositivi medici. Questa esperienza mi ha fatto comprendere che spesso le donne sono sottorappresentate negli studi clinici e che le differenze di sesso e genere non sono considerate nella pianificazione clinica
né tanto meno nella fase di valutazione rischio e beneficio.
Ci spieghi meglio…
Sia nella fase di ricerca preclinica, che in quella clinica durante le quali si raccolgono le informazioni importanti sull’effetto, sulla tossicità e sul dosaggio dei principi attivi, non si eseguono test specifici in base al sesso. In passato questo è risultato nel fatto che su 10 medicinali ritirati dal mercato, otto sono stati ritirati perché il farmaco aveva dimostrato gravi effetti collaterali sulle donne. Tutte le nuove sostanza attive dovrebbero essere testate su un numero adeguato di uomini e donne al fine di caratterizzare il rischio e beneficio del farmaco
su ciascun gruppo, soprattutto quando ci rapportiamo a malattie croniche e multifattoriali deve sappiamo che il sesso dell’individuo rappresenta un rischio specifico per quella patologia. Grazie alla fondazione da lei presieduta, ora c’è grande attenzione ad esempio sul morbo di Alzheimer, che sembra colpisca le donne in maniera doppia rispetto agli uomini. Proprio così, ma siamo solo all’inizio. Seppure le differenze siano molto evidenti, sono state studiate ancora poco.
Lei è un’esperta di Alzheimer e le chiedo: gli anziani con ipoacusia hanno maggiori probabilità di sviluppare questa malattia o altre malattie neurologiche?
L’ipoacusia è annoverata come un fattore specifico per la demenza senile stando a molte ricerche scientifiche e studi epidemiologici.
È quindi cruciale prevenire l’ipoacusia per quanto possibile e inoltre correggere eventuali deficit, affinché il paziente possa
anche rimanere socialmente attivo. Infatti, stando alla Organizzazione Mondiale della Sanità, la prevenzione della demenza avviene
anche grazie ad una vita socialmente attiva e l’udire bene ne è una garanzia.
Valentina Faricelli
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